ITALIA INDUSTRIA IMMOBILIARE EVOLUZIONE

10 anni di crescita e sviluppo – Pressoché ovunque il decennio 1997-2007 ha rappresentato un periodo di “vacche grasse” per il real estate. Grazie ad una liquidità straordinaria, l’immobiliare ha visto incrementare significativamente la propria portata con flussi di investimento che raggiungevano mete sempre più lontane rispetto ai luoghi di provenienza dei capitali. I volumi ed i prezzi degli immobili sono lievitati considerevolmente in maniera generalizzata, sostenuti da strutture finanziarie che ampliavano in modo formidabile le opportunità di investimento.In questo periodo, anche l’Italia vive una stagione straordinaria e la struttura del mercato immobiliare domestico si trasforma rapidamente come mai era accaduto prima.Le dismissioni dei grandi patrimoni immobiliari, la riduzione dei tassi di interesse e la ripresa economica stimolano la percezione di opportunità di business a partire dal 1997, anno in cui si è assistito alle prime alleanze tra player domestici ed operatori stranieri (banche d’affari e fondi opportunistici).Nella seconda parte degli anni ’90 e nei primi anni Duemila vengono lanciati i primi fondi immobiliari di diritto italiano, si apre la stagione delle cartolarizzazioni dei mutui, si presta sempre più attenzione alla gestione professionale dei portafogli corporate (banche, assicurazioni, gruppi industriali) e di proprietà pubblica che spesso vengono isolati dalla gestione core tramite spin-off, si aprono i mercati internazionali grazie all’arrivo della moneta unica, si sviluppano forme di commercio al dettaglio più moderne, vengono avviati i grandi programmi di riqualificazione delle città.

Durante il primo quinquennio del nuovo secolo, l’Italia viene considerata l’area che presenta maggiori opportunità di investimento, anche grazie alla sua posizione nel ciclo immobiliare internazionale, caratterizzata da un avvio tardivo, rispetto agli altri paesi europei, della fase di ripresa successiva alla crisi di fine anni’90.Tutti gli ambiti di mercato, i settori di attività, gli strumenti innovativi che avevano cominciato a diffondersi a fine anni ’90, si propagano enormemente e vengono sempre più utilizzati, sfruttandone al massimo le potenzialità.E’ questo dunque il periodo in cui l’attività di cartolarizzazione dei mutui e di finanziarizzazione del real estate nelle sue più ampie accezioni (fondi immobiliari in primis) raggiunge i livelli massimi di sempre. Si sviluppa così la filiera del cosiddetto FIRE (Finance Insurance Real Estate), con una moltiplicazione e crescita di attori e professionalità – prova ne sia lo sviluppo dei relativi organismi associativi e di rappresentanza, a sottolinearne l’aumento di peso ed importanza nel sistema economico complessivo – che non ha nulla a che vedere con il mercato anche solo di un quinquennio prima.In questa fase si intraprendono, oltre agli investimenti in immobili già a reddito, sempre più operazioni di sviluppo immobiliare e riqualificazione e prolifera la progettualità, sostenuta da un accesso al credito piuttosto facile e a basso costo.

A latere delle operazioni legate agli immobili veri e propri, prosegue una intensa attività di natura societaria fra i numerosi attori che operano sul mercato domestico. Si infittiscono sempre più alleanze e joint venture, con acquisizione di quote/azioni da parte dei gruppi stranieri in realtà immobiliari italiane. Il legame del mercato italiano con l’estero è dunque più stretto ed interdipendente.Tali profondi mutamenti costituiscono, infatti, la causa, ma talora sono anche l’effetto, di una grande apertura del mercato domestico agli investimenti esteri, che trovano opportunità importanti di sviluppo di business e che sprovincializzano il real estate della penisola. Cominciano dunque ad affacciarsi dall’estero banche d’affari, fondi d’investimento, fondi pensione, istituti finanziari specializzati, operatori del mercato delle securitizzazioni, developer, gestori, mettendo in moto, assieme agli operatori italiani, un circolo virtuoso che ha sviluppato enormemente il milieu del settore e dunque la sua trasparenza in senso generale.All’apice del ciclo positivo del mercato, le compravendite di immobili residenziali sfiorano quota 850.000, cui se ne sommano oltre 210.00 di immobili non residenziali, il fatturato complessivo del mercato sfiora i 140 miliardi di Euro, con i prezzi che segnano una crescita nominale nell’ordine del 100% su base decennale, i tempi di vendita si aggirano sui 3-4 mesi, gli investimenti in costruzioni superano i 150 miliardi, gli investimenti immobiliari dall’estero sono circa la metà del totale, le società immobiliari quotate sono 11 con una capitalizzazione di Borsa di 11 miliardi di Euro, il nostro Paese arriva ad essere considerato “transparent” secondo l’indice globale di trasparenza di Jones Lang La Salle.

La crescita si interrompe bruscamente Dalla fine del 2007 e poi, più decisamente, nel corso del 2008 e del 2009, si sperimenta, dapprima un rallentamento, e poi una fase di crisi acuta, che raggiunge la sua massima magnitudo tra la fine del 2008 e i primi mesi del 2009. Un periodo in cui si passa bruscamente da livelli di attività effervescente ad uno stallo pressoché totale. Il rallentamento del mercato finanziario ed immobiliare americano, per il default dei mutui subprime, è evidente sin da subito, ma erroneamente si è ritenuto che le difficoltà vissute dal sistema statunitense non venissero ad impattare significativamente su altri mercati, Italia compresa. L’effetto devastante derivante dalla crisi di fiducia è consistito nella impossibilità di comprendere cosa le banche avessero in pancia, l’assenza di certezze in merito ai valori dei titoli e degli asset e, conseguentemente, il blocco di tutti i canali di finanziamento.In particolare, il rischio contenuto nel sottostante per le linee di credito ha fatto lievitare il costo dei finanziamenti a tal punto da sperimentare una drastica e totalizzante stretta creditizia, bloccando così anche l’economia reale. Di conseguenza, nel 2008 il rallentamento comincia a diffondersi anche altrove fino al riconoscimento (tardivo) di una crisi, prima finanziaria e poi economica, di portata planetaria. In ragione di questi fenomeni, nel corso del 2008 il mercato degli investimenti immobiliari in Europa ha visto un sostanziale rallentamento, dovuto al blocco della finanza, ben sapendo come il real estate sia fortemente basato su leve finanziarie elevate e con un accentuato rapporto debt/equity, assai sfruttato in questa fase di mercato.Di colpo è finito il “carburante” che faceva girare il sistema: le banche hanno improvvisamente bloccato le erogazioni paralizzando il modello di sviluppo che aveva prevalso sino ad allora.

Il volume totale degli investimenti effettuati in Europa, alla fine del 2008, subiva una contrazione fortissima, arrivando circa a dimezzare il picco raggiunto l’anno precedente e passando così da oltre 244 miliardi di Euro nel 2007 a circa 120 nel 2008 per arrivare a circa 70 nel 2009: nel giro di un paio di anni il volume di affari a livello europeo si è pertanto ridotto ad un quarto rispetto a quanto non fosse nella sua fase apicale.Similmente l’Italia passa dai 10 miliardi di Euro di investimenti del 2007 ai 5 del 2009.Da allora numerosi sono gli aspetti del mercato che risultano essere considerevolmente cambiati, attraverso mutazioni, spesso dolorose, ed ancora in corso, secondo un processo di trasformazione ed evoluzione che non appare essersi ancora arrestato, in stretta connessione con i repentini e schizofrenici cambiamenti che stanno interessando gli scenari economici e finanziari internazionali.L’immobiliare è pertanto fra i settori più colpiti, non tanto perché le garanzie dei subprime fossero costituite da immobili residenziali, ma perché il taglio unitario delle singole operazioni immobiliari, particolarmente quelle di sviluppo e di trading, è talmente elevato in rapporto alle risorse tipiche degli operatori, siano essi famiglie o imprese, da far sì che queste non possano che essere effettuate se non ricorrendo ad una “leva” che, nella fase più acuta della crisi, è praticamente scomparsa.

Il processo di trasformazione Data la difficoltà nell’ottenimento di credito, si delinea una situazione in cui, da una parte riescono ad operare prevalentemente gli investitori equity driven, ed al contempo si riescono a perfezionare solo quelle operazioni di medio e basso importo. Il mercato degli investimenti cambia notevolmente, quindi, non solo in termini quantitativi, registrando forti contrazioni sui volumi transatti, ma anche in termini qualitativi, in quanto i protagonisti del mercato sono rappresentati da fondi pensioni, casse di previdenza, assicurazioni, fondi istituzionali, quindi soggetti strutturalmente molto liquidi, a scapito degli investitori usi ad operare con ricorso alla leva.Sempre nell’ottica di essere più liquidi e di proseguire nel processo di deleveraging, si moltiplicano le operazioni di sale & lease back per quei grandi proprietari (banche e corporate in modo particolare) intenzionati a scorporare dal proprio business caratteristico i cespiti immobiliari, così da far fronte alla difficile congiuntura economica e finanziaria sbloccando i capitali immobilizzati in attività non core.Come visto, il mercato è animato quasi esclusivamente da pochi e liquidi investitori, la cui posizione privilegiata, a fronte di una offerta di immobili abbondante, li induce ad assumere un atteggiamento più oculato nella selezione delle opportunità di investimento, restringendo ulteriormente il parco dello stock potenzialmente investibile. Di conseguenza la qualità degli asset assume ancora più importanza che in passato sia in termini tecnici e funzionali sia di localizzazione e di affidabilità del conduttore secondo il motto “back to basics”. Gli asset di valore continuano ad essere oggetto d’interesse da parte degli investitori, mentre i prodotti di qualità inferiore tendono a restare sul mercato, con una conseguente riduzione delle loro quotazioni ed un ampliamento sempre più marcato, e senza possibilità di ritorno, fra gli yield degli immobili prime e secondari.La stretta sul credito, la flessione verticale del trading, il quasi totale arresto dell’investment nei segmenti tradizionali sposta gli interessi del real estate dalle operazioni straordinarie a quelle di asset management e gestione ordinaria dell’esistente.

Dal 2006 in avanti, quindi, la redditività degli investimenti immobiliari è sempre più collegata alla componente di gestione operativa (Income Return), mentre la componente in conto capitale (Capital Growth), dopo una fase di riduzione dai livelli della prima parte degli anni 2000, si porta in terreno negativo.A queste trasformazioni indotte da fattori economici e di mercato si vanno ad aggiungere altresì modifiche normative e fiscali che impattano notevolmente sulle dinamiche immobiliari. In particolare vale la pena soffermarsi sulle modifiche regolamentari relative ai fondi comuni di investimento immobiliare di diritto italiano, comparto che ha visto la proliferazione di interventi normativi che hanno di volta in volta rimodulato lo status quo senza fornire peraltro un assetto organico. Un riassetto mirante a trovare criteri spartiacque fra fondi “elusivi” e non, che, secondo il legislatore, doveva avvenire tramite l’articolo 32 del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 (“riorganizzazione della disciplina fiscale dei fondi immobiliari chiusi”). Tale riordino doveva concretizzarsi con la pubblicazione dei regolamenti attuativi del Decreto Legge, convertito, con modificazioni, nella Legge 122/2010, oltre che dalle indicazioni sulle responsabilità delle SGR inserite nella comunicazione congiunta Banca d’Italia – Consob del luglio dello stesso anno.In realtà il cospicuo ritardo accumulato rispetto ai termini inizialmente prospettati ha, da una parte messo in luce le difficoltà del legislatore, ed, allo stesso tempo, determinato una lunga fase di incertezza e quindi di stallo che ha notevolmente rallentato – se non addirittura bloccato – il settore a livello domestico ed, ancor peggio, nei confronti degli investitori cross—border, la cui fiducia nel nostro Paese era stata già messa a dura prova poco tempo prima con il Decreto Bersani-Visco (D.L. 4 luglio 2006 n. 223).Sulla materia è quindi intervenuto il D.L. 70 del 13 maggio 2011 – Decreto Sviluppo – volto a superare i punti più controversi del decreto del 2010, cambiandone marcatamente l’impostazione. Ma oramai un anno era passato in un clima di incertezza normativa e con un mercato già in grande difficoltà. E soprattutto tale modus operandi ha fortemente scoraggiato gli investitori esteri a rivolgere l’attenzione al real estate italiano. Una perdita delle fiducia che difficilmente, stanti anche le difficoltà economiche in cui versa il nostro Paese, sarà riassorbibile.

La situazione odierna e le sfide che ci attendonoNonostante elementi esogeni ed endogeni al mercato di estrema criticità, l’industria dei fondi immobiliari si è però sviluppata considerevolmente e, ad oggi si possono contare oltre 300 fondi operativi (l’80% riservati ed il restante 20% retail), gestiti da 70 SGR (di cui 49 specializzate), ed in patrimonio di circa 45 miliardi di Euro.Fra gli altri protagonisti del real estate possiamo annoverare le Società di Investimento Immobiliare Quotate (SIIQ), istituite con decreto nel settembre 2007 – ovvero agli albori della crisi economica – , e che al momento vedono due esempi di successo sul nostro mercato e molto interesse da parte di altri operatori che potrebbero presto assumerne la struttura societaria. Una potenzialità ancora inespressa che, grazie alla possibilità di accedere al mercato azionario, ovviando così alla stretta creditizia, potrebbe incidere significativamente sullo sviluppo economico ed infrastrutturale del nostro territorio in maniera diffusa.Dalle SIIQ alle altre property companies quotate il passo è breve. Il mattone quotato in Italia non ha mai viaggiato su cifre comparabili a quelle presenti sui mercati esteri “più maturi”. Nella fase più effervescente del mercato la capitalizzazione delle 11 società immobiliari quotate ammontava a 11 miliardi di Euro. Dal 2007 ad oggi abbiamo assistito ad una stagione di delisting, ristrutturazioni aziendali profonde, ricompattamenti e fuoriuscite dal mercato. La risultante dopo circa un quinquennio è una vera e propria ricomposizione del comparto, portando a ridurre ad 8 i protagonisti del listino con una capitalizzazione pari a circa un decimo rispetto ai tempi d’oro di inizio 2007.

Ci si è resi conto che per sopravvivere nel mercato odierno sono essenziali professionalità altamente qualificate, servizi sempre più ad elevato valore aggiunto, specializzazione elevata, dimensioni importanti, standard internazionali, visione globale.Solo un approccio di questa natura può permettere di navigare nella “tempesta perfetta”. Un sistema che nulla a che vedere con quello prevalente solo un quinquennio fa. Così la mappatura e la fotografia del settore e degli attori del real estate del 2011/2012 poco hanno a che spartire con quelli che ricordavamo.Vi sono esempi rappresentativi delle tendenze in atto nell’industria immobiliare pronta a cogliere le impegnative sfide del futuro nell’ottica di uno sviluppo socio-sostenibile del territorio, quali gli interventi di riqualificazione del patrimonio immobiliare obsoleto e inefficiente sul piano energetico e delle emissioni di CO2, la dotazione di residenze sociali in locazione, lo sviluppo infrastrutturale, e, non ultimo, il tanto atteso processo di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, così come previsto nel recente Decreto Salva-Italia (articolo 27).

ITALIA INDUSTRIA IMMOBILIARE EVOLUZIONE

I numeri chiave del mercato nella sua fase apicale (2006/2007) ed oggi


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